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Viva l’Europa, che ha abolito il dogma dei confini

Si dichiara eurottimista. e ne spiega le ragioni. Parla Filippo Andreatta.

di Joshua Massarenti

Domanda: L?Europa poteva essere una grande occasione per ridare un ruolo di primo piano alla società civile. Invece mi sembra che si sia ridotta solo a ingegneria istituzionale. Filippo Andreatta: Non sono d?accordo. L?allargamento invece ha due caratteristiche di grande portata: fa dell?Europa una unione di minoranze e la costringe a dotarsi di regole consensuali e non a colpi di maggioranza. Questo può avere come ovvia ripercussione quella di annacquare le regole. Ma questo è un valore. La seconda caratteristica di grande portata è una concezione rivoluzionaria di Stato e di territorialità. L?allargamento è come un confine che si muove. Cioè rende permeabili i confini che nella storia dell?uomo, dai tempi dei romani, sono stati qualcosa di invalicabile, che distingueva il dentro e il fuori in maniera rigida. Un confine che si muove, rende più porosa e più grigia la carta geografica, perché chi sta fuori oggi non è detto che non sia dentro domani. Una delle politiche determinanti della Commissione è stata la politica di vicinato, che è stata derisa dagli americani come qualcosa di irenico e di utopistico. Invece è la naturale conseguenza della politica dell?allargamento. Come fa Renzo Piano, bisogna portare fuori da un edificio delle strutture per preparare un ulteriore allargamento. Quindi la strategia è stata quella di allargare alcune policy tipicamente di politica interna anche a chi non fa ancora parte dell?Unione, come i Paesi del Mediterraneo e la Russia, per preparare un ulteriore allargamento. È un abbattimento di un muro, è un superamento della categoria ?aperto/chiuso?. Una contaminazione delle coscienze, da società aperta sul serio. Domanda: Cosa ne pensa dell?inserimento o meno del richiamo alle radici cristiane nella Costituzione europea? Andreatta: C?è una verità storica che va difesa oggettivamente, ma, nello stesso tempo, la strumentalizzazione politica fa rabbrividire. Quando il governo garantisce che non avrebbe ceduto su quel principio, e poi di fatto cede, mi chiedo se non fosse stato meglio non menzionare la questione. Io sono preoccupato perché conosco la tendenza dei governi democratici a strumentalizzare qualsiasi argomento. Questo è un argomento che preferirei non fosse strumentalizzato. Forse sarebbe stato meglio evitarlo. Domanda: In Europa ha vinto chi non è andato a votare? Ci alleniamo al modello americano dove decide la minoranza che va alle urne? Andreatta: Non è questione di numeri. Nella democrazia di maggioranza, si accetta un compromesso che viene regolato dalle Costituzioni. E questo vale anche se le percentuali dei votanti salgono. C?è sempre qualcuno che è escluso dal meccanismo. Eppure, per convenzione si ritiene valido il principio di maggioranza. Domanda: Vedendo il potere decisionale di cui sono oggetti la Commissione europea e il Consiglio europeo, che sono apparati intergovernativi, rispetto al parlamento europeo, possiamo davvero parlare di Unione europea democratica? Andreatta: Il processo di integrazione ha avuto delle ripercussioni molto notevoli per la nostra vita quotidiana. Pensiamo ad esempio alla moneta unica. Dall?altro lato, quello che è venuto completamente a mancare è la politica. La cosa è eclatante per la difesa e la politica estera. Potenzialmente, il parlamento europeo avrebbe dei mezzi per imprimere maggiormente nella vita la politica europea, ma nella realtà non li mette in atto. Ancora oggi, i parlamenti nazionali sono completamente sovrani in materia di politiche di difesa e di politica estera, cioè sulle questioni di coercizione. L?Europa diventa quindi evanescente proprio su temi che hanno a che vedere con la politica. Su questo, non c?è commissione o consiglio che tenga. Senza un parlamento europeo forte non riusciremo mai a vincere la legittimazione che si sono conquistati i parlamenti nazionali. Guardiamo agli Stati Uniti. Ci hanno messo cent?anni, nel corso dei quali hanno fatto una guerra di secessione, ma alla fine solo con l?affermazione di un congresso ipersovrano sono riusciti a sconfiggere i congressi statali. Però oggi accade che se il 99% delle persone dell?Alabama è contraria alla guerra, ma il congresso decide di sì a maggioranza, i soldati dell?Alabama vanno a combattere. Noi siamo molto lontani da quello. Riflettiamoci. Forse anche molti federalisti se gli vien posta la domanda così, vacillerebbero: sareste d?accordo che i soldati italiani vadano a morire in una guerra anche se il 99% di italiani è contrario a quella guerra? Io dico di essere disponibile a questa scelta, perché mi sembra che stia emergendo una coscienza europea, per cui ritengo molto difficile che a Bruxelles si decida per una guerra quando il 99% degli italiani siano contrari. Domanda: Lei è molto ottimista sull?Europa. Ma chi ci garantisce da questo deficit democratico? Andreatta: Il deficit democratico è una deliberata strategia di governo. I governi con le decisioni del Consiglio europeo tagliano fuori le opposizioni, spesso anche i parlamenti, ignorando la volontà delle maggioranze. Qualche volta, questa specie di ?autoritarismo illuminato? ha dato frutti buoni. Il trattato di Maastricht è stato negoziato dal ministro Guido Carli al quale dobbiamo la salvezza della nostra economia. A Maastricht chiedeva di abbassare i parametri. Poi arrivava a Roma e davanti ai suoi colleghi costernati si lamentava perché i tedeschi avevano imposto parametri molto duri e lui non aveva potuto farci nulla. Il meccanismo della maggioranza qualificata permette questi escamotage tant?è che esistono tecnici che studiano su ogni decisione qual è la maggioranza che massimizza il mio potere di contrattazione, ma che nel contempo lo nasconde di più di fronte al proprio parlamento. Questo deficit democratico è una strategia deliberata che per molti federalisti è stata usata a buon fine. Ma certamente la prevalenza di questo modello tecnocratico è un problema che dobbiamo porci. Domanda: Che futuro vede per il sistema democratico americano? Andreatta: Sono abbastanza pessimista. Ciò che ci colpisce della democrazia americana è innanzitutto la sua violenza. Le cause sono legate a una natura più tecnologica, dove il rapporto interpersonale viene sopraffatto da quello mediatico, dove c?è una bassissima percentuale di persone impegnate in politica. Poi c?è una dimensione multiculturale che necessita di un diritto penale estremamente universalistico per parlare a tutte le comunità che sono presenti sul suolo americano. Un mio professore americano mi diceva che per un cittadino proveniente dalla Cina o dall?Ecuador vedere infrazioni gravi della legge sanzionate con pene leggere è una cosa che fa sorridere. Mi diceva: «Abituati a condizioni di vita ben più dure, si fionderebbero nelle nostre prigioni». Ora, temo che la nostra società si stia dirigendo verso un modello Usa, ovvero meno monoculturale, che a sua volta genererà tensioni sociali, e una minore partecipazione alla vita dei partiti politici. Negli ultimi vent?anni, la percentuale di persone iscritte a un partito politico è scesa dal 5 allo 0,5%. Su questi aspetti degenerativi gli americani sono semplicemente 20 anni più avanti di noi. Domanda: Nel suo ultimo libro Amartya Sen rivendica l?idea di democrazia ad altre tradizioni culturali. Che ne pensa? Andreatta: Sen parla di requisiti della democrazia, non della democrazia, che è una formula decisionale. Come stabiliamo se uno Stato è democratico o no? Se ci sono delle elezioni regolari, cambi di governo pacifici e così via. Per sancire invece cosa sia una democrazia, nel senso dello spirito della democrazia, evidentemente ci vuole un dialogo sociale. Trovo un po? paradossale parlare dell?India come di una culla della democrazia quando in quel Paese vi sono stati milioni di morti. Così com?è un paradosso considerare tale l?Europa, in quanto qui sono nate le peggiori dittature e le peggiori guerre mondiali. Tornando a Sen, lui parla di requisiti sociali della democrazia, intendendo con questo una società pluralista, ma non conflittuale. Una società non pluralista è una società dove regna la tirannia della maggioranza, dove l?individuo è parcellizzato, dove non esistono grumi della società civile che possano interagire fra di loro. Quindi, quello che è necessario è questo cocktail di pluralismo pacifico, dialogante, tollerante. Che non è democrazia, nel senso istituzionale del termine, ma rappresenta i requisiti sociali perché una democrazia attecchisca.

Info:

All?incontro del Comitato editoriale di Vita e al dialogo con Filippo Andreatta è dedicata l?ultima puntata di Vitamina. Per sintonizzarsi cliccate su www.vitachannel.tv

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